I Proprietari di negozi si trovano alcune volte di fronte alla richiesta del loro Inquilino di installare una nuova canna fumaria nel locale che intendono affittare.
Gestire questa richiesta può influire sulla conclusione del contratto di affitto di una nuova attività commerciale, magari con un negozio che viene convertito a nuova vita.
Se il locale commerciale si trova all’interno di un condominio, si può installare una canna fumaria sulla facciata del palazzo se gli altri condomini non vogliono? Quale maggioranza è necessaria affinché l’assemblea approvi i lavori? Quali le norme sulle distanze e sul decoro architettonico da rispettare?
UPPI Jesolo ha approfondito l’argomento e risponde a queste domande anche sulla base delle ultime sentenze in materia.
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CANNA FUMARIA IN CONDOMINIO: QUANDO SI PUO’ INSTALLARE
I CASI IN CUI NON E’ NECESSARIA L’AUTORIZZAZIONE PREVENTIVA DELL’ASSEMBLEA; LA VIOLAZIONE DEL DECORO ARCHITETTONICOE LE DISTANZE DA MANTENERE
L’installazione di una canna fumaria è uno dei problemi più frequenti della vita condominiale. Spesso sorgono controversie per il fastidio arrecato ad alcuni condomini per i fumi emessi dall’impianto, per il disagio da sopportare per la presenza dei tubi che passano vicino alla proprietà esclusiva o anche all’interno di essa, come su un terrazzo. Possono esserci lamentele per il pregiudizio al decoro architettonico della facciata dell’edificio ed ancora per la tipologia di emissioni che si presumono nocive alla salute.
Uno dei problemi più frequenti riguarda i locali pubblici, solitamente collocati al pianterreno, che chiedono al condominio l’autorizzazione ad installare una canna fumaria necessaria per il loro esercizio e che dovrà percorrere la facciata esterna. A volte, a complicare le cose c’è il fatto che l’impianto prevede anche un motore esterno per aria condizionata o per lo smaltimento dei fumi.
La possibilità di installare la canna fumaria deve rispettare la normativa del Codice civile, i regolamenti edilizi comunali ed anche il regolamento del condominio. Se quest’ultimo impone un preciso divieto di installazione, la questione è preclusa: si potrà installare una canna fumaria soltanto se e quando il condòmino interessato otterrà una modifica del regolamento condominiale in tal senso.
Il regolamento edilizio comunale, invece, disciplina le eventuali distanze minime che devono intercorrere tra la canna fumaria e l’edificio; in mancanza di una precisa disposizione, si applica la distanza minima prevista dal Codice civile [1] per gli impianti considerati potenzialmente “pericolosi”, come forni e camini.
Ma, tornando alle controversie tra singolo condòmino e condominio, l’installazione della canna fumaria è possibile anche senza preventiva autorizzazione dell’assemblea. Infatti il Codice civile sancisce il principio generale [2] in base al quale il condòmino ha diritto di utilizzare le cose comuni purché non ne modifichi la destinazione e non impedisca ad altri di farne analogo uso. E tra le parti comuni dell’edificio rientra anche la parete esterna su cui poggerà la canna fumaria.
In un nuovo caso deciso dal tribunale di Roma [3] i giudici si sono occupati di un’installazione di canna fumaria alla quale il condominio si era opposto: l’assemblea non aveva autorizzato i lavori sostenendo il mancato rispetto delle distanze dalle finestre degli appartamenti, il pregiudizio causato da immissioni di odori e gas di scarico e la lesione del decoro architettonico del palazzo.
I giudici capitolini hanno statuito innanzitutto che l’assemblea condominiale non poteva negare all’interessato l’installazione della canna fumaria a servizio del suo locale pubblico (si trattava di un bar): oltretutto il diniego era avvenuto in radice, sulla base della sola richiesta verbale avanzata dall’esercente, senza alcun esame del progetto completo. Già questo aveva compromesso il diritto del condomino ad «un uso più intenso» della proprietà comune.
Inoltre, nello specifico il regolamento condominiale vietava genericamente le «innovazioni e modifiche», subordinandole ad una specifica e preventiva autorizzazione dell’assemblea; ma questa norma è stata ritenuta dal Tribunale troppo discrezionale ed ingiustamente compressiva del diritto di proprietà dei singoli condòmini.
Da qui la sentenza è passata ad occuparsi del diritto di un condòmino di utilizzare il muro perimetrale di proprietà comune. Tra le funzioni che esso per sua natura svolge c’è anche – si legge nella sentenza – quella di «consentire l’appoggio di targhe, travi, canne fumarie e simili». È dunque una finalità tipica, che non altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell’edificio, ma anzi costituisce »un normale esercizio del diritto di usare la cosa comune», purché – si sottolinea – «non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio e non ne alteri il decoro architettonico».
Ma in questo caso l’assemblea, nel respingere la richiesta, non aveva nemmeno allegato quale fosse, in concreto, il pregiudizio arrecato agli altri condomini e l’eventuale danno alle proprietà esclusive di ciascuno. In realtà, per effetto dell’installazione della canna fumaria la facciata dell’edificio non mutava la propria destinazione originaria e dunque l’apposizione dell’impianto non poteva considerarsi innovazione vietata: al contrario, era un uso consentito e legittimo, senza necessità di preventiva autorizzazione dell’assemblea.
La questione dei fumi ed esalazioni è stata, invece, superata dal Tribunale come una preoccupazione infondata e non sussistente nel caso concreto, «visto che la realizzazione della canna in conformità delle disposizioni di legge e delle regole dell’arte, con la dovuta altezza, non dovrebbe determinare l’inconveniente paventato»
Invece, quanto al decoro architettonico, in particolare, il giudice ricorda che esso consiste nell’«armonica fisionomia» delle linee estetiche e delle strutture che connotano il fabbricato; l’alterazione è vietata solo quando compromette l’insieme dell’aspetto dell’edificio. Nel caso esaminato, montare il condotto (che aveva un diametro esterno di circa 30 cm) sulla parete non è stato ritenuto come «apprezzabile o significativa alterazione» tale da arrecare un pregiudizio estetico o una diminuzione della funzionalità o del valore economico. Questo anche in considerazione del fatto che il prospetto estetico dell’edificio era risultato «già compromesso» da altri accadimenti.
Infine, è stata respinta anche l’eccezione relativa alla violazione delle distanze dalle finestre degli appartamenti, poiché – osservano i giudici romani – «il condominio non è legittimato a far valere pregiudizi concernenti il godimento delle proprietà esclusive e la sfera giuridica individuale dei singoli condomini, essendo solo un ente di gestione delle parte comuni»; in altre parole, avrebbero dovuto agire in giudizio sulla questione i singoli proprietari asseritamente lesi e non il condominio per loro conto.
Ma il tribunale ha anche segnalato che la canna fumaria non rappresenta una “costruzione” cui possa applicarsi la normativa civilistica sulle distanze dalle vedute [4], costituendo, piuttosto, «un semplice accessorio di un impianto».
Autore dell’articolo: UPPI Nazionale
NOTE:
[1] Art. 890 Cod. civ.
Chi presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, vuole fabbricare forni, camini, magazzini di sale, stalle e simili, o vuol collocare materie umide o esplodenti o in altro modo nocive, ovvero impiantare macchinari, per i quali può sorgere pericolo di danni, deve osservare le distanze stabilite dai regolamenti e, in mancanza, quelle necessarie a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza [844].
[2] Art. 1102 Cod. civ.
Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.
[3] Tribunale di Roma, Sez. V Civile, sentenza n. 10079/2020 del 15 luglio 2020.
[4] Art. 907 Cod. civ.
Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell’articolo 905.
Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita.
Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia.